Cenni Storici

 

1533, le origini

Bonafede e la Cattedra dei Semplici

L'insegnamento di quella parte della medicina sperimentale che oggi si chiama Farmacologia inizia a Padova nel 1533 con Francesco Bonafede cui viene affidata su richiesta degli studenti la Cattedra"ad lecturam simplicium". Francesco Bonafede rompendo con l'insegnamento tradizionale di lettura e commento dei testi latini e greci (Galeno, Dioscoride) introduce per primo il metodo dimostrativo con l'esibizione dei "semplici" vegetali, animali e minerali impiegati in terapia e intuendo tra i primi l'importanza scientifica dello studio delle piante medicinali, propone l'istituzione un "orto dei semplici".

 

1551, Falloppio

Alla morte di Bonafede, la Cattedra dei Semplici viene tenuta per oltre 10 anni da Gabriele Falloppio, medico chirurgo e anatomico sommo. Tra la fine del cinquecento e l'inizio del seicento l'insegnamento dei semplici viene affidato a Prospero Alpini, medico botanico insigne, esperto di medicina e piante dell'Egitto da cui porta la prima notizia del caffè.

 

1618-1716 Zabarella Dalla Torre Knips Macoppe

Alla scomparsa di Prospero Alpini l'incarico di lettore dei semplici viene tenuto da naturalisti, medici e botanici tra cui Giacomo Zabarella, Giorgio Dalla Torre e Alessandro Knips Macoppe. In alcuni casi l'incarico di lettore viene associato a quello di curatore dell'Orto Botanico. Verso la fine del settecento, mentre dallo studio dei semplici si sviluppano come scienze autonomela Botanicaela Storia Naturale, appare evidente la necessità di istituire una Cattedra speciale per le esigenze scientifiche e pratiche della medicina.

 

1786-1825, Dalla Decima e la Cattedradi Materia Medica

Per questo motivo nel 1786, con decreto del Senato Veneto, Angelo Dalla Decima, viene "condotto alla Cattedra di Materia Medica". Dalla Decima, assumendo la Cattedra di Materia Medica, ha a disposizione il materiale del Museo di Storia Naturale (in gran parte organizzato dall'insigne naturalista Vallisneri) e da questo trae origine il Gabinetto di Materia Medica. L'insegnamento della Materia Medica viene organizzato in maniera sistematica e accompagnato da dimostrazioni ed illustrazioni di droghe e prodotti medicinali che Dalla Decima conserva in una cassetta di legno intarsiata internamente, che viene usata per le lezioni agli studenti e che è tuttora conservata nel Dipartimento di Farmacologia.

 

1825-1872

Dopo la morte di Dalla Decima (1829) segue un periodo difficile per l'insegnamento della Materia Medica, affidato ad un docente di origine ungherese e quindi poco gradito sia ai cittadini che agli scolari. Il periodo di alterne vicende politiche (1848-58) legate alla storia dell'Unità d'Italia, porta alla chiusura dell'Università nel 1849 e all'affidamento della Cattedra di Materia Medica a Giuseppe Brugnolo. Nel 1852 l'insegnamento di Materia Medica e Terapeutica viene separato da quello di Patologia generale e alla Cattedra viene chiamato Ferdinando Coletti.

 

1872

Coletti trasferisce il Gabinetto di Materia Medica  Nel 1872 Coletti trasferisce il Gabinetto di Materia Medica dall'Università centrale al vecchio convento di San Mattia, conseguendo un sensibile sviluppo della ricerca farmacologica e adeguando l'insegnamento della materia ai nuovi ordinamenti della Scuola di Medicina.

 

1881

Pio Marfori realizza il Laboratorio di Farmacologia

Morto il Coletti, la Cattedra di Materia Medica viene tenuta per un breve periodo da Vincenzo Chirone e nel 1898 viene affidata a Pio Marfori, cui si deve il notevole impulso alla realizzazione di quello che da allora inizia a chiamarsi Laboratorio di Farmacologia e che viene dotato di costosi strumenti scientifici e materiale librario. Trasferito il Marfori a Napoli,la Cattedradi MateriaMedica, dopo un breve incarico, viene vinta per concorso da Luigi Sabbatani.

 

1909 Luigi Sabatani

Luigi Sabbatani è uno dei fondatori della moderna Farmacologia in Italia, tra i primi a proporre l'applicazione dei metodi fisico-chimici all'indagine farmacologica, stabilisce per primo il ruolo del calcio nella coagulazione del sangue e riconosce l'importanza fondamentale di questo ione in molti fenomeni biologici.

 

1915 Costruzione dell'Istituto di Farmacologia

Si deve all'intelligente lungimiranza di Sabbatani la trasformazione della Cattedra di Materia Medica in quella di Farmacologia e la costruzione dell'Istituto di Farmacologia in una nuova sede, Via Loredan (attuale Largo Meneghetti) vicino agli Istituti Chimici.

 

1932 Egidio Meneghetti

Succedono a Sabbatani gli allievi Italo Simon e poi Egidio Meneghetti, che continuano l'impostazione metodologica del maestro, orientando la ricerca farmacologica su rigorose interpretazioni obiettive dell'effetto e dei meccanismi d'azione e sulla valutazione quantitativa dell'azione dei farmaci.

Egidio Meneghetti, scienziato e umanista, eccellente didatta, per oltre trenta anni professore di Farmacologia dell'Università di Padova, è animatore e capo riconosciuto della lotta partigiana nel Veneto, primo Rettore dell'Università dopo la liberazione. 

Il 4 marzo 1961, la morte, "la bruta siora piena de importanza", coglie all'improvviso Egidio Meneghetti.

Gli succede l'allievo Renato Santi e quindi Tito Berti e Alessandro Bruni. 

Nell' aprile del 1984 l' Istituto diventa Dipartimento di Farmacologia e successivamente, nel 1999,  Dipartimento di Farmacologia ed Anestesiologia alla cui direzione  si succedono i professori della stessa scuola padovana Giuliana Fassina, Sisto Luciani, Tito Berti, Lorenzo Cima, Pietro Palatini e Pietro Giusti.

 

 

Bibliografia: L. Sabbatani "L' Istituto di Farmacologia della Università di Padova" (Delle memorie e Documenti per la storia della Università di Padova, 397-425, Padova,La Garangola ed.,1922)

Egidio Meneghetti visto da Tono Zancanaro

 

  

L’insegnamento della Chimica farmaceutica all’Università degli Studi di Padova

L’insegnamento della chimica farmaceutica a Padova ebbe vicissitudini varie in relazione con l’evoluzione delle conoscenze scientifiche e della storia politica nazionale.

Nel secolo XVIII si era imposto nelle Università l’insegnamento della chimica. Con decreto del 1726, il Senato veneziano espresse la propria volontà che anche nell’Università di Padova si introducesse quello studio della chimica relativo ai medicamenti, corrispondente in parte a quel ramo di chimica applicata, che oggi si indica come chimica farmaceutica. Però, soltanto nel 1749 troviamo ufficialmente introdotto un insegnamento “ad medicinam chimicam” affidato a Bartolomeo Lavagnoli, che già dal 1732 insegnava medicina teorica. Tale insegnamento di chimica medica non corrispose però ai fini del Senato, finché non fu istituita la “Schola Chimica theorica et experimentalis” alla quale fu chiamato da Bologna nel 1760 il Conte Marco de Carburi (1731-1808), da Cefalonia, già allievo di Beccari a Bologna.

Alla fine del secolo XVIII e al principio del secolo XIX, la Repubblica Veneta subì le note vicende politiche, con l’occupazione francese (1797-1798), austriaca (1798-1801), di nuovo francese (1801) e di nuovo austriaca (1801-1805) e ancora francese (periodo napoleonico: 1806-1813) e ancora austriaca (1813-1866).

L’attività dell’Università in tale periodo fu prevalentemente politica.

Per quanto riguarda gli studi chimici, troviamo tuttavia che, nel 1797, l’amministrazione francese istituì, per la prima volta a Padova, l’insegnamento della chimica farmaceutica; ma solo durante la terza ripresa dell’amministrazione francese si ebbe un riaccendersi dell’antico fervore accademico. Gli orari e i prospetti (annuari) dell’Università recano l’intestazione “Regno d’Italia”. Napoleone vi è ricordato come il “grande restauratore dell’Università”. Un decreto del 25 luglio 1806, firmato da Napoleone a Saint-Cloud, dichiara di voler conservare l’Università di Padova “posta sul piede delle altre Università del Regno”, cioè Pavia e Bologna.

La prima cattedra di chimica farmaceutica, fondata nel 1797, ebbe in Padova un carattere speciale, in relazione alla ricchezza delle acque termo-minerali esistenti nella vicina zona dei colli Euganei, acque che ebbero sin dall’epoca romana e hanno tuttora diffusa rinomanza per la loro efficacia terapeutica. Nelle terme di Abano la Repubblica veneta teneva aperti degli studi dipendenti dall’Università di Padova e i cui titolari venivano chiamati “pubblici professori alle terme di Abano”. Si pensò di sopprimere tali studi, o meglio di trasportarli a Padova, valendosi del personale e forse del materiale di essi per l’insegnamento della chimica farmaceutica.

Troviamo infatti che il Prof. Giuseppe Mingoni, padovano, medico addetto dal 1768 alle terme di Abano, assunse, nel 1796, l’insegnamento della nuova materia, assistito dal Dott. Salvatore Mandruzzato (1758-1847), medico e idrologo trevisano, il quale, pur conservando le incombenze d’Ispettore alle terme, succedette provvisoriamente al Mingoni, quando questi morì nel 1798. Allontanato in seguito dall’Università dal governo austriaco per ragioni politiche, il Mandruzzato venne richiamato dal governo francese e nominato professore effettivo di chimica farmaceutica nel 1807. Nello stesso anno la cattedra di chimica generale, vacante dal 1797, fu affidata al Prof. Girolamo Melandri Contessi (1784-1833), assistente e genero del Carburi.

L’insegnamento della chimica farmaceutica non ebbe però lunga vita autonoma. Nel 1815, l’Austria, subentrata nel possesso del Veneto alla Francia, volle provvedere ad un nuovo riordinamento dell’Università patavina. Il governo austriaco nominò una “Commissione provvisoria degli studi”, la quale elaborò un “progetto di un piano scientifico provvisorio”, sul fondamento del quale fu, nel 1815, deliberato il ripristino dell’Università di Padova e la conseguente fissazione del corso dei suoi studi, distribuiti in quattro facoltà, fra cui la medico-chirurgico-farmaceutica.

Con la nuova distribuzione degli studi, le due cattedre di chimica generale e di chimica farmaceutica furono di nuovo riunite in una sola, col titolo di “Chimica generale farmaceutica” titolo, che, poco dopo (1817), si cambiò in quello di “Chimica generale, animale e farmaceutica”.

Collocato a riposo il Mandruzzato, fu affidato l’insegnamento riunito della chimica generale e farmaceutica al Prof. Melandri e, morto questi, nel 1833 gli successe il Prof. Francesco Ragazzini.

Nel 1834 la stessa facoltà medico-farmaceutica, che, fino ad allora, aveva conferito il diploma di maestro in farmacia, istituì il corso (triennale) per la laurea di chimica e vi furono ammessi coloro che avevano già compiuti gli studi di farmacia.

Nel 1834 l’insegnamento di chimica generale, animale e farmaceutica si scisse in due: uno, denominato chimica generale, fisiologica e patologica, per gli studenti di medicina, l’altro, denominato chimica generale, farmaceutico-tecnica, per gli studenti di farmacia e di chimica. Entrambi furono affidati al Prof. Ragazzini, che tenne il primo fino alla morte (1864), mentre il secondo passò nel 1858 (con le esercitazioni di chimica analitica) al Prof. Francesco Filippuzzi (1824-1886), il quale, alla morte del Prof. Ragazzini, ebbe entrambi gli insegnamenti e li continuò fino al 1873-74.

Durante il periodo di insegnamento dei Proff. Ragazzini e Filippuzzi, la scuola di chimica, situata in stabili di proprietà privata, passò in sede propria. Nel 1858 si acquistò, per uso dell’Istituto di chimica, un palazzo in via dei Portici Alti (ora via S. Francesco), allora attiguo, poi annesso al fabbricato centrale universitario. L’adattamento si completò nel 1864 a cura del Prof. Filippuzzi, e in tale anno vi passò l’Istituto di chimica, che vi svolse la sua attività, prima per l’insegnamento delle materie già nominate, poi come Istituto di chimica generale, fino a che quest’ultimo, nel 1919, passò nell’attuale edificio appositamente eretto in via Loredan, nel nuovo quartiere universitario.

Sotto il governo austriaco, gli istituti universitari non avevano dotazione fissa, ma di anno in  anno veniva loro assegnata la somma necessaria per soddisfare ai bisogni manifestati dai rispettivi direttori al cominciare di ogni esercizio. La scuola di chimica ebbe, dal 1815 al 1868, intorno alle 2.000 lire venete ogni anno.

Ricongiunto il Veneto alla patria italiana (1866), l’Università di Padova, con legge 12 maggio 1872, fu pareggiata alle altre del Regno.

Nel 1873 si istituì la Facoltà di Scienze e nel 1874 la Scuola di Farmacia. Si ebbe allora la definitiva separazione della cattedra di chimica farmaceutica da quella di chimica generale.

L’insegnamento della chimica generale fu continuato fino al 1886 dal Filippuzzi, che mantenne anche la direzione delle esercitazioni di chimica farmaceutica, tenute nell’Istituto di chimica generale.

Dopo la morte del Filippuzzi, la cattedra di chimica generale, salvo breve periodo di incarico (1886-1887, 1889-1900) affidato al Prof. Francesco Anderlini, fu tenuta successivamente da chiari maestri, quali i Proff. Giacomo Ciamician, che la coprì dal 1887 al 1889, Raffaele Nasini, dal 1890 al 1906, Giuseppe Bruni, dal 1906 al 1917, a cui successe Arturo Miolati, dal 1917 al 1932.

Nel 1929 si iniziò l’insegnamento separato della chimica organica, che fu affidato al Prof. Carlo Sandonnini e nel 1932 si istituì la cattedra di chimica fisica, per iniziativa del Prof. Miolati, che già insegnava tale materia per incarico e che ne fu il primo titolare, mentre alla cattedra di chimica generale ed inorganica veniva nominato il Prof. Sandonnini. Al Prof. Miolati, ritiratosi nel 1938, successe nella cattedra di chimica fisica il Prof. Giovanni Semerano. L’Istituto di chimica fisica trovò collocazione nello stesso edificio dell’Istituto di chimica generale.

L’insegnamento della chimica generale, seguendo lo sviluppo scientifico e didattico, fu poi ulteriormente arricchito di altri insegnamenti affidati per incarico, quali la chimica analitica (1932) e l’elettrochimica (1935).

L’insegnamento della chimica farmaceutica fu tenuto per incarico, dal 1874-1875 al 1878-79, dal Prof. Francesco Ciotto; dal 1879 ricominciò a funzionare in modo indipendente, e la cattedra prese il nome di chimica farmaceutica e tossicologica.

 

 

Prof. Comm. Pietro Spica (1854-1929).

 

Nel dicembre 1879, ne fu il primo titolare il Prof. Pietro Spica (1854-1929), esimio cultore di chimica organica nella celebre scuola palermitana di Cannizzaro e Paternò. Il Prof. Spica occupò la cattedra sino alla morte. Subito dopo, la direzione dell’istituto, dal 1929 al 1932, fu assegnata al Prof. Carlo Sandonnini e quando questi nel novembre 1932 passò alla cattedra di chimica generale della stessa Università di Padova, fu chiamato a coprire l’insegnamento della chimica farmaceutica e tossicologica il Prof. Efisio Mameli.

Efisio Mameli, nato in Sardegna il 31 Dicembre 1875, laureato in Chimica nel 1896 nell’Università di Cagliari, nel 1899 fu assistente di Giuseppe Oddo. Nel 1915 partì volontario per la guerra. Partecipò all’offensiva italiana sul monte Pasubio nel dicembre del 1916 e a quella sul Carso, nell’agosto del 1917. Fu insignito con la croce al merito di guerra e congedato nel 1919 con il grado di capitano. Rientrò nella vita universitaria come professore incaricato all’Università di Sassari. Nel 1922 divenne professore di Chimica generale a Perugia e nel 1924 di Chimica farmaceutica a Parma. Nel 1932 fu chiamato a Padova a succedere a Pietro Spica. Era stato Preside, Pro-Rettore dell’Università di Padova; Medaglia d’Oro dei Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte; Presidente per 10 anni della Sezione Veneta della Società Chimica Italiana; Presidente, fin dalla fondazione, della Società Italiana di Scienze Farmaceutiche. Nel 1951 fu nominato professore emerito. Scomparve a Padova il 10 Giugno 1957.

 

 

 Il Prof. Efisio Mameli (1875-1957) con la moglie.

 

La nuova cattedra di chimica farmaceutica fu ancora ospite per 3 anni dell’Istituto di chimica generale. All’aprirsi dell’anno scolastico 1882-1883, a seguito delle insistenze del Prof. Spica, l’istituto ebbe un locale proprio, in un edificio appositamente costruito di fronte all’Ospedale civile.

L’edificio fu dapprima modesto (il progetto originario era stato strozzato per necessità di bilancio) e comprendeva un’aula per le lezioni, un laboratorio per studenti e altri ambienti a pianterreno, nonché vari laboratori speciali al 1° piano. Costò 50.000 lire, di cui 17.057 a carico del patrimonio universitario.

Tale edificio venne a poco a poco munito degli impianti e del materiale più necessario e reso atto all’insegnamento sperimentale degli studenti, che non tardarono ad accorrere. Essi furono 16 nel 1879-80, 23 nel 1882-83, 72 nel 1894-95, 93 nel 1895-96, 103 nel 1896-97, 112 nel 1897-98, 233 nel 1922-23, 316 nel 1925-26, 321 nel 1926-27, e nell’ultimo decennio furono in media 260 per anno scolastico, con un rapporto fra studenti e studentesse di 5:2.

Di fronte a tale aumento di studenti, il laboratorio, nonostante le misure e gli accorgimenti adottati dal Prof. Spica, si dimostrò insufficiente ed ebbe un primo ampliamento (costato L. 30.000) nel 1898-99, col quale si portò l’area occupata dall’istituto da mq 576 a 864. Un secondo ampliamento (costato L. 60.000) fu effettuato negli anni 1907-9 e portò l’area a circa 1.600 mq.

La dotazione che era stata di Lire 1.200 fino al 1874, di Lire 2.000 fino al 1884-85, fu portata a Lire 3.000 nel 1891-92. Il personale che era di un solo assistente nel 1879 fu aumentato.

Continuando l’incremento degli studenti e per le ristrettezze dei locali, fu decisa nel 1933 la costruzione di un nuovo Istituto, ampio e moderno, che fu inaugurato nel 1937.

Esso sorge nel quartiere universitario in via Marzolo e fa parte del gruppo di 15 istituti universitari che, posti sulla stessa via e sulla parallela via Loredan, costituiscono un notevole insieme di edifici scolastici.

Infatti, nel 1933, per il fervido interessamento del Rettore Prof. Carlo Anti, animatore del presente rinnovamento universitario padovano, si poté addivenire alla costituzione di un “Consorzio per la sistemazione edilizia dell’Università di Padova” che, sovvenuto generosamente dei fondi necessari dal Governo (lire 35.000.000) e dagli Enti locali (L. 10.000.000) e presieduto dallo stesso Rettore, provvide alla costruzione di diversi Istituti universitari, fra i quali anche quello di chimica farmaceutica e tossicologica.

Sia durante il periodo di insegnamento del Prof. Spica che nel periodo successivo aumentarono le materie di studio impartite nell’Istituto di chimica farmaceutica. Così nel 1886, all’insegnamento fondamentale della chimica farmaceutica e tossicologica, si aggiunse l’insegnamento della “chimica delle sostanze alimentari”, titolo che si cambiò poi in quello di “chimica bromatologica”. Nel 1909 si istituì l’insegnamento della tecnica farmaceutica, nel 1936 quello della idrologia e nel 1940 quello della chimica di guerra.

Nel 1932 venne fondata in seno alla Facoltà di Medicina, la cattedra di chimica biologica, con istituto indipendente, alla quale venne chiamato il Prof. Achille Roncato. Nel 1945 sorse in detto istituto l’insegnamento complementare della chimica delle fermentazioni.

Nel 1947 venne fondata nell’Università di Padova la Facoltà di Agraria, che provvederà all’insegnamento della chimica agraria.

Per quanto riguarda i tipi di laurea, ricordiamo che, alla laurea in chimica pura fondata nel 1834, si aggiunse nel 1839-40, la laurea in chimica industriale, che si avvale oltreché degli insegnamenti impartiti nelle Facoltà di Scienze anche delle materie della chimica, che si impartiscono nella Facoltà di Ingegneria. Nel 1942-43, in ottemperanza alle nuove norme regolamentari, la laurea in chimica pure si sdoppiò in due rami: uno con indirizzo inorganico e chimico-fisico e l’altro con indirizzo organico e biologico.

Per quanto riguarda la Facoltà di Farmacia, questa concedette, fin dall’inizio, come nelle altre Università italiane, il diploma di maestro in farmacia, che fu il primo titolo istituito in questo ramo di studi e che fu poi sostituito da quello di farmacista (diploma in farmacia). In seguito, si aggiunse la laurea in chimica e farmacia e nell’istituzione di questo titolo Padova fu preceduta da poche università e fu seguita poi dalle altre. Tale laurea elevò la cultura e la dignità dei farmacisti e diede impulso al progredire dell’industria farmaceutica italiana.

Nel 1931 l’Università di Padova istituì – prima in Italia – la laurea in Farmacia, presto seguita dalle consorelle. Tale laurea, aboliti col riordinamento universitario 28.11.1935 il diploma in farmacia e la laurea in chimica e farmacia, rimase l’unico titolo accademico concesso per l’abilitazione alla professione di farmacista. Nel 1933, la Scuola di Farmacia si trasformò in Facoltà di Farmacia.

Il nuovo Istituto fu costruito, su progetto dell’arch. Giuseppe Merlo di Milano, vincitore del relativo concorso nazionale, dall’impresa A. Faccioli e Fr. di Verona, sotto la direzione dell’Ufficio lavori del Consorzio per la sistemazione edilizia dell’Università di Padova. I lavori edilizi si iniziarono il 9.4.1935 e si completarono il 4.4.1936. L’arredamento richiese tutto il 1937. Fu inaugurato il 31.10.1937. In merito, il Prof. Mameli scrisse:

 

“L’Istituto occupa un’area di 4.300 mq, di cui 2.000 coperti da costruzioni (cubatura 30.000 mc) e 2.300 sistemati a giardino. E’ a due piani oltre un piano rialzato, uno scantinato e due vaste terrazze. Il suo costo fu di circa L. 3.500.000, compresi gli impianti e l’arredamento.

Contiene 5 sale di esercitazioni per gli studenti (una per ogni anno di corso), con 62 banchi e 267 posti di lavoro, per modo che ogni studente ha un posto di lavoro comodo e ben arredato. Contiene inoltre 24 altri laboratori vari, con 50 banchi e 100 posti di lavoro per ricerche speciali, un’aula con 170 uditori, 3 sale per la direzione e la biblioteca, un ricovero antiaereo (difeso da un solettone in cemento armato, alto m 1,25) capace di 150 persone e attrezzato per la difesa antigas e per esperienze di tossicologia e di fisiologia, una serra, un cortile interno e un altro esterno, quest’ultimo con stabularium e laboratorio speciale annesso. Adiacenti ad ogni reparto sono terrazze scoperte e posti di lavoro all’aperto.

Per dare un’idea della vastità degli impianti, accenniamo solo ai 10.000 metri di tubazioni per acqua, gas, scarichi, riscaldamento, che corrono nelle sue pareti e nei suoi pavimenti, alle 300 prese di acqua, 900 prese di gas, 500 prese elettriche, 600 lampade installate, per una potenza di 50.000 W. Particolare cura venne data alla ventilazione nei laboratori e nelle 72 cappe di aspirazione tutte munite di elettroventilatore.

Nel nuovo Istituto ha trovato degna collocazione un intero reparto – primo in  Italia – destinato all’insegnamento sperimentale della tecnica farmaceutica, con due laboratori per ricerche, una sala di esercitazioni, una farmacia e una stanza di infialettamento, per l’addestramento pratico degli studenti. Si avvera così, dopo circa 400 anni, la proposta che fece nel 1543 Francesco Buonafede, primo lettore di semplici nel nostro Ateneo.

Esistono inoltre nel nuovo Istituto speciali laboratori per rami più interessanti di chimica affini all’insegnamento fondamentale. Uno di tali laboratori è destinato all’idrologia, data l’importanza che ha questa scienza a Padova, per la vicinanza delle interessanti acque termo-minerali euganee e per altri fenomeni idrologici veneti. Altri laboratori speciali del nuovo Istituto sono destinati alla chimica tossicologica e alla chimica bromatologica, materie che ebbero già a Padova brillanti affermazioni; alla microanalisi, alla elettrochimica, alla spettroscopia, alle ricerche di chimica biologica, di chimica bellica, in relazione ad incarichi governativi su questioni riguardanti la difesa nazionale, ecc. La ripartizione dei diversi locali è visibile nelle piante annesse (Figure 1-4)”.

 

Fig. 1

 

 Fig. 2

Fig. 3

 

 Fig. 4

 

 

Riguardo l’attività scientifica e didattica in quel periodo ecco quanto riportò il Prof. Efisio Mameli nell’estratto dalla Rivista “La Chimica e l’Industria” (anno XX – Febbraio 1938 + XVI, pag. 111):

 

Attività scientifica

“Sarebbe degno del momento illustrare adeguatamente l’attività scientifica dell’Istituto di chimica farmaceutica e tossicologica dell’Università padovana, attività che nell’ultimo cinquantennio fu notevole, qualche volta intensa. Ma non potendo ciò fare in poche pagine, ci limiteremo a ricordare i punti più importanti. Un argomento di studio, che ha avuto fra gli insegnanti di detto Istituto una serie quasi ininterrotta di cultori, è quello dell’idrologia in generale e delle acque termo-minerali euganee in particolare. Tali terme, che richiamarono l’attenzione di scrittori e scienziati di tutto le età, da Plinio a Pietro D’Abano e a Falloppio, e che interessarono idrologi, geologi, geofisici, clinici, chimici e fisici, dettero come abbiamo già visto, i primi insegnanti di chimica farmaceutica all’Università di Padova, quali il Mingoni e il Mandruzzato. Al Mandruzzato si deve, oltre numerose monografie di argomento idrologico, la più vasta opera sulle terme di Abano (Trattato dei bagni di Abano, 3 volumi, 1789-1804), interessante raccolta di dati sperimentali, ancora oggi degna di consultazione, su quella antica e famosa stazione termale.

Ricerche idrologiche in generale e particolarmente sulle acque euganee furono continuate, come una feconda tradizione, dopo il Mingoni e il Mandruzzato, dal Melandri e dai successivi insegnanti di chimica farmaceutica del nostro Ateneo, quali il Ragazzini, il Ciotto, lo Spica e la tradizione non è ancora spenta oggi. Altri scienziati dell’Università padovana furono attratti dallo studio delle acque euganee e vi portarono contributi di altissimo valore scientifico e pratico, quali quelli che si devono ai Proff. De Giovanni, Nasini, De Marchi, Dal Piaz, De Toni, Vicentini, M. G. Levi, Anderlini, Salvadori e ai loro collaboratori.

E’ degno di particolare ricordo il fatto che il Prof. Spica, eseguendo numerose analisi di acque italiane ed estere fu il primo (1892, 1898, 1902) a rilevare l’importanza della silice nelle acque minerali, fatto che ebbe notevoli sviluppi, dato l’interesse che la moderna idrologia attribuisce all’azione biocatalizzatrice della silice nelle acque minerali. Il merito di detta priorità fu riconosciuto allo Spica dagli idrologi contemporanei, fra cui il Nasini (1899).

In relazione all’importanza degli studi della chimica idrologica nelle Venezie, il nuovo Istituto di chimica farmaceutica e tossicologica è stato dotato, come si è visto, di un apposito laboratorio, utile sussidio al’insegnamento della idrologia, che in esso si impartisce dal 1936.

Nel cinquantennio in cui l’Istituto fu diretto dal  Prof. Spica, l’attività scientifica di lui e dei numerosi collaboratori che egli seppe richiamare intorno a sé (Albanello, Asquini, Bertossi, Biscaro, Bressanin, Calderato, Carnielli, Carrara, Ciotto, Collavo, Cossettini, De Maria, Fabris, Fachinato, Fraccaroli, Germain, Ghirardi, Giosia, Giudice, Halagian, Luzzatto, Marchesini, Mazzaron, Menegazzi, Miorandi, Muraro, Pajetta, Pazienti, Pisanello, Ponti, Rossi, Schiavon, Spica Carlo Luigi, Spica Matteo, Sturmiolo, Todeschini, Velardi, Vicentini, Zambelli, Zanelli, Zuccari) si rivolse anche ad altri rami della chimica e specialmente alla chimica organica, farmaceutica, analitica, bromatologica, tossicologica, industriale e alla tecnica farmaceutica, e ne fanno fede le 200 memorie da essi pubblicate.

Nel campo della chimica organica si ricordano gli importanti contributi portati alla conoscenza di molti fenoli e loro derivati (acidi fenolglicolici, fenolsolfonici), le ricerche sulle tiouree, sugli uretani, sui composti tiazolici, sui derivati dell’acido citrico, sulla sparteina e su vari principi attivi vegetali (Diosma crenata, Arum italico, Aristolochia serpentaria, Gonolobus Condurango, Micrococcus prodigiosus).

Alla chimica farmaceutica appartengono le ricerche su alcuni derivati dell’antipirina, sui tannati di chinina, su prodotti arsenicali organici.

Di chimica analitica vennero pubblicate ricerche relative al riconoscimento, alla separazione o al dosamento di vari metalli (alluminio, nichel, rame, potassio, mercurio), metalloidi (cloro, arsenico, antimonio), sali (nitriti, persolfati), sostanze organiche (alcol metilico ed etilico, acido fenico, saccarina, lecitina, albumina), alla determinazione spettroscopica dell’acido borico.

Le ricerche di chimica bromatologica riguardano l’analisi delle acque potabili, delle acque gazose, degli olii, dei vini e altre bevande alcooliche, dei grassi, del latte, delle farine, delle paste.

Nel campo della chimica tossicologica, vanno ricordate le numerose ricerche sulla genesi, le proprietà e il riconoscimento delle ptomaine, sui metodi di riconoscimento e di dosamento di parecchi veleni (bromo, fosforo, mercurio, arsenico, cloroformio, fenolo, stricnina, eroina, dionina, peronina, atropina, aloe, sabina), sull’analisi chimica e spettroscopica del sangue, sulla tossicità delle mandorle amare, sull’yprite, sulla fenilcianarsina, sui procedimenti di decomposizione elettrolitica delle sostanze organiche.

Le pubblicazioni di tecnica farmaceutica riguardano studi critici di farmacopee, osservazioni su forme farmaceutiche, su medicamenti “pari”, su incompatibilità farmaceutiche, sulla solubilità di alcuni medicamenti.

Fra le attività scientifiche dell’Istituto si possono ricordare gli incarichi che il Prof. Spica ebbe per la riconosciuta competenza quale analista, tossicologo e bromatologo. Nel 1880 fu chiamato a far parte della Commissione per l’accertamento dei reati di veneficio e di questa epoca sono le sue ricerche più importanti di tossicologia, atte a rendere più sicuro il riconoscimento dei veleni. In seguito fu rappresentante dell’Italia alla Società delle Nazioni, per la Conferenza internazionale dell’oppio in Ginevra, membro della Commissione internazionale per l’analisi delle derrate alimentari, del Consiglio superiore di sanità, della Commissione per la revisione della farmacopea ufficiale italiana. Nel 1918 fu chiamato ad organizzare e a dirigere il laboratorio di chimica analitica dell’Ufficio materiale chimico di guerra, appositamente istituito dal Comando supremo presso l’Istituto di chimica farmaceutica dell’Università di Bologna, laboratorio che funzionò dal gennaio 1918 all’agosto 1919 e ove il Prof. Spica con sei collaboratori attese a ricerche sugli aggressivi bellici e ad analisi sul materiale bellico nemico, ricerche raccolte in circa 200 relazioni.

 

Attività didattica

Limitandoci al periodo storico più vicino a noi, si rileva che l’attività didattica dell’Istituto di chimica farmaceutica e tossicologica dell’Università di Padova fu sempre notevole e che il Prof. Spica raggiunse pienamente lo scopo principale dell’istituto, che è quello di preparare dei colti e coscienziosi professionisti.

Il suo interessamento verso i suoi discepoli non conobbe soste. La cura, che egli poneva nell’esposizione delle lezioni e nel guidarli alle esercitazioni pratiche, volle integrare col munirli di trattati, che fossero loro di guida, non solo durante il corso scolastico, ma anche, in seguito, durante la vita professionale.

Così videro la luce le successive edizioni delle “Tavole di chimica analitica qualitativa” che si seguirono dal 1887 in poi, fino all’ultima (6a) postuma del 1936, e il vasto “Trattato di chimica medico-farmaceutica e tossicologica” in 3 volumi (metalloidi, 1896; metalli, 1896; sostanze organiche, 1907), la cui 2a edizione fu interrotta dalla morte  dell’autore e ne fu pubblicata postuma solo la parte relativa ai metalloidi (1936).

Nel 1886 all’insegnamento fondamentale della chimica farmaceutica e tossicologica, il Prof. Spica, che aveva coltivato, come abbiamo visto, le ricerche relative all’analisi degli alimenti, aggiunse l’insegnamento della “Chimica delle sostanze alimentari”, titolo che si cambiò poi in quello di “Chimica bromatologica”. Sull’insegnamento della chimica bromatologica, quale fu iniziato dal Prof. Spica, si modellarono i corsi, che furono istituiti in seguito nelle altre Università. L’insegnamento universitario della chimica bromatologica si propose lo scopo – pienamente raggiunto – di preparare la schiera dei chimici bromatologici, che, nei laboratori comunali, provinciali e industriali, provvedono alla difesa annonaria della popolazione e allo sviluppo delle industrie alimentari. Anche per l’insegnamento di questo ramo della chimica, il Prof. Spica preparò (1920) ai suoi allievi un “Riassunto delle lezioni di chimica bromatologica”, che fu il primo del genere in Italia: esso arrivò nel 1928 alla 3a edizione.

Nel 1909 si istituì, primo in Italia, l’insegnamento della tecnica farmaceutica. Esso dura tuttora, con personale, stanze di esercitazioni e dotazioni propri ed è di grande giovamento per la coordinazione dell’insegnamento teorico con la preparazione professionale degli studenti.

Nel 1936 si istituì l’insegnamento della idrologia, contemplato fra le materie complementari del nuovo ordinamento universitario 28.11.1935 e particolarmente indicato nella regione veneta, per la ricchezza, già ricordata, del suo patrimonio idrico.

Per quanto riguarda i diplomi, l’Università di Padova concedette, fin dall’inizio, come le altre Università italiane, il diploma di maestro in farmacia, che fu il primo titolo istituito in questo ramo di studi e che fu poi sostituito da quello di farmacista (diploma in farmacia). In seguito, si aggiunse la laurea in chimica e farmacia. Tale laurea elevò la cultura e la dignità dei farmacisti e diede impulso al progredire dell’industria farmaceutica italiana.

Nel 1931 l’Università di Padova istituì – prima in Italia – la laurea in Farmacia, presto seguita dalle consorelle. Tale laurea, aboliti, col riordinamento universitario 28.11.1935, il diploma in farmacia e la laurea in chimica e farmacia, rimane ora l’unico titolo accademico concesso dalle Facoltà di Farmacia”.

 

Luigi Musajo

Nel 1951 successe al Prof. Mameli il Prof. Luigi Musajo (1920-1974), proveniente dall’Università di Modena. Durante l’inaugurazione del 730° anno accademico dell’Università di Padova, Musajo tenne la sua prolusione quale nuovo professore di Chimica farmaceutica e tossicologica.

Nell’aula affollatissima erano presenti oltre ai Chimici dell’Università di Padova, i Proff. Mameli, Sandonini, Meneghetti, Semerano, Crepaz, Bezzi, anche i Proff. Bonino e Mangini dell’Università di Bologna, Pieroni dell’Università di Parma, Calzolari e Ghigi dell’Università di Ferrara, Colonna dell’Università di Trieste, Riccoboni, Cestari, Croatto, Garilli, Spada e Coppini dell’Università di Modena, Andrisano dell’Università di Catania e i Dott. D’Amati e Ginoulhiac di Milano.

Musajo iniziò la sua prolusione con le seguenti parole:

 

“Se le norme amministrative, in omaggio alle leggi del tempo, dicono che oggi c’è qui un nuovo titolare di chimica farmaceutica, questo stesso aggiunge che considera Efisio Mameli sempre sulla cattedra che per tanti anni ha onorato con le nobili doti della sua mente e del suo cuore. Nulla è mutato in questo Istituto che Efisio Mameli ha fondato così bello e moderno, costruendolo con profonda conoscenza e infinita cura sulle solide fondamenta di un luminoso passato”.

 

Luigi Musajo, nato a Locorotondo (Bari), l’8.11.1904, studiò a Bari e a Bologna, laureandosi in Chimica nella Università di Bologna nel 1926. Un anno dopo divenne assistente del Prof. Riccardo Ciusa, nell’Università di Bari. Nel 1932 conseguì la libera docenza in chimica farmaceutica e tossicologica e dal 1932 al 1936 tenne il corso di chimica generale inorganica e organica nella Facoltà di Medicina dell’Università di Bari e dal 1937 al 1942 quello di chimica generale e inorganica presso la Facoltà di Farmacia dello stesso Ateneo. Da assistente compì vari soggiorni all’estero, fruendo anche di una borsa di studio dell’Accademia d’Italia.

Nei congressi internazionali di Chimica a Madrid, nel 1934, e di Fisiologia a Leningrado, nel 1935, comunicò le sue prime ricerche relative alla scoperta dell’acido xanturenico, sostanza di grande interesse biologico.

Nel 1942 riuscì nel primo concorso per la cattedra di chimica farmaceutica nell’Università di Cagliari, donde passò a Modena e poi nel 1951 a Padova.

 

 

Prof. Luigi Musajo (1904-1974)

 

Medaglia d’oro dei benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte; membro effettivo dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia Patavina di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia Nazionale dei Lincei e della Accademia Pugliese di Scienze; già membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione; già Preside della Facoltà di Farmacia di Modena; Preside della stessa Facoltà a Padova dal 1955; già Pro-Rettore dell’Università di Padova; Presidente della Sezione Veneta della Società Chimica Italiana; membro del Comitato Nazionale per la Chimica del Consiglio Nazionale delle Ricerche; Presidente del Gruppo Italiano di Fotobiologia. Il CNR nel 1969 lo incaricò di organizzare il Centro di studio sulla chimica del farmaco e dei prodotti biologicamente attivi, da Lui diretto fino al 1972.

Per la sue ricerche sul metabolismo del triptofano, condotte con Carlo Alberto Benassi e Graziella Allegri, nel 1964 a Musajo fu assegnato dall’Accademia Nazionale dei Lincei il premio Feltrinelli per la medicina.

Considerato il pioniere e lo scienziato più autorevole nel campo del triptofano, nel 1973 un gruppo di ricercatori stranieri si riunì a Padova per costituire l’International Society for Tryptophan Research (ISTRY) e organizzare un convegno internazionale da tenersi a Padova sotto la presidenza di Musajo. Dopo il primo ISTRY Meeting, che ebbe luogo all’Università di Padova nel maggio 1974 con la partecipazione di studiosi di tutto il mondo, l’evento si ripeté nel mondo con frequenza triennale. Fu organizzato nuovamente a Padova nel 1996 e nel 2002 sotto la presidenza di Allegri. Durante i convegni viene attribuita al miglior scienziato nel campo del metabolismo del triptofano la “Musajo memorial award medal” istituita in suo ricordo.

E’ autore di 140 lavori scientifici apparsi in giornali italiani e stranieri.

Gli studi di Farmacia a Padova, durante la presidenza di Musajo, erano ordinati nella stessa maniera delle altre Università italiane con la sola differenza che gli studenti iniziavano l’analisi qualitativa con metodo semi-micro al primo anno di corso anziché al secondo. Ciò è stato fatto perché gli studenti avessero più tempo libero il quarto anno per dedicarsi alle esercitazioni di Tecnica farmaceutica, alla pratica in Farmacia (che comprendeva anche un periodo obbligatorio in farmacia di ospedale) e alla tesi di laurea.

Nell’Istituto funzionava un efficiente laboratorio di microanalisi organica e in alcuni locali erano pure sistemati stabulari che accoglievano una numerosa colonia di topi e ratti di ceppi selezionati (circa 4.000 animali).

Tra le materie complementari, oltre a quelle tradizionali, esistevano anche gli insegnamenti di chimica farmaceutica applicata, impianti e macchinario farmaceutico e di tossicologia industriale.

Alla ricerca si dedicarono 20 ricercatori, alcuni dei quali allievi del Prof. Mameli, tre laureati in medicina (due anatomo-patologi e un farmacologo). A questi vennero aggiunti alcuni assistenti volontari e molti laureandi che svolgevano la loro tesi sperimentale. Nel 1951 era stato chiamato a Padova quale assistente dal Prof. Musajo anche C. A. Benassi, laureato in Chimica pura nel 1945 e in Farmacia nel 1947 a Modena. Proveniva dall’Istituto Sieroterapico Milanese Serafino Belfanti.

L’opera scientifica di Luigi Musajo è nettamente orientata verso la chimica organica naturalistica e verso la chimica biologica. Fra i temi di ricerca sviluppati nell’Istituto va ricordato il metabolismo del triptofano in campo fisiologico e patologico, un argomento coltivato per molti anni dal Prof. Benassi e da Allegri. Tra i contributi fondamentali raggiunti si deve ricordare, oltre al ritrovamento dell’acido xanturenico, metabolita del triptofano, lo studio sulla degradazione di questo aminoacido anche in condizioni patologiche. Particolarmente studiata è stata l’eliminazione “spontanea” di metaboliti del triptofano in diverse condizioni patologiche umane utilizzando diversi metodi analitici. E’ stato così possibile prendere in esame circa mille pazienti e i controlli sulle cui urine hanno permesso di eseguire migliaia di determinazioni di metaboliti del triptofano. I campi che più sono risultati interessanti e nei quali l’indagine si andava approfondendo sono le malattie emoblastotiche e i tumori vescicali. Il metabolismo del triptofano è stato ampiamente studiato anche sulle urine di pazienti schizofrenici.

Musajo ha inoltre messo in luce l’esistenza in urine umane di sostanze inibitrici e attivatrici di enzimi dipendenti dalla vitamina B6. Ha svolto anche ricerche su tumori sperimentali.

Da vari anni oggetto di ricerca erano pure le proprietà fotodinamiche delle furocumarine, cioè la capacità di provocare sulla cute eritemi, bolle e pigmentazione in seguito ad applicazione sulla pelle e successiva irradiazione, proprietà che sono alla base di alcune note dermatiti. Lo studio fu affrontato con la collaborazione di Giovanni Rodighiero e Giuseppe Caporale.

Frutto di questo lavoro è stato il chiarimento delle relazioni tra struttura chimica e proprietà fotosensibilizzatrici nell’ambito delle furocumarine; a ciò si è giunti sperimentando con moltissimi derivati furocumarinici, dei quali una quindicina sono stati isolati da materiali vegetali, gli altri (in gran parte non prima noti) preparati per sintesi. Questi risultati sono stati pienamente confermati da estese ricerche condotte in America.

Altri risultati degni di rilievo sono stati ottenuti nelle ricerche intese ad inquadrare le furocumarine nel vasto campo del fotodinamismo ed a studiarne il meccanismo d’azione.

Le furocumarine hanno dimostrato di essere un gruppo di sostanze con proprietà fotodinamiche diverse dalle altre e con un meccanismo d’azione diverso da quello fotoossidativo di substrati proteici, generalmente ammesso per interpretare l’azione fotodinamica sulla cute di altre sostanze, come ematoporfirina, clorofilla, bleu di metilene, ecc.

Era pure in corso lo studio di una fotoreazione “in vitro” scoperta appunto nel laboratorio di Padova, tra furocumarine fotodinamiche e flavin-mononucleotide, che poteva portare un notevole contributo al chiarimento del problema.

Indagini collaterali in questo campo hanno avuto per oggetto la presenza di queste sostanze in alcuni vegetali, come sedano, prezzemolo, essenza di bergamotto, Ruta graveolens, Ficus carica, Angelica archangelica, Angelica silvestris.

Musajo dimostrò anche che cellule del tumore ascitico di Ehrlich, irradiate in presenza di furocumarine, presentavano un blocco della duplicazione del DNA e della sintesi dell’RNA, impedendone così la capacità di riprodursi. Si dedicò quindi allo studio dell’attività antitumorale dei composti sintetizzati nell’Istituto e per poterne sperimentare le proprietà farmacologiche organizzò a Padova uno stabulario per l’allevamento di ceppi. Realizzò anche un attrezzatissimo laboratorio di microanalisi organica, uno dei pochi esistenti in Italia.

Inoltre furono condotti altri lavori come quelli sull’isolamento di due sesquiterpeni isomeri dall’olio di Angelica archangelica, sui chinoni d’interesse biologico, sulla costituzione di pigmenti naturali, su prodotti estratti da vegetali, su determinazioni di aminoacidi nell’emolinfa e nelle uova di insetti in collaborazione con l’Istituto di zoologia.

Musajo, nell’ambito accademico padovano, ebbe grande stima e prestigio. Egli resse e guidò con scienza, sapienza ed autorità la Facoltà di Farmacia.

Alla morte, avvenuta il 18 novembre del 1974 a Modena dove era tornato a vivere con la moglie Carla Giacobazzi, successe alla cattedra di chimica farmaceutica e tossicologica e alla presidenza della Facoltà di Farmacia il Prof. Giovanni Rodighiero, allievo del Prof. Efisio Mameli. Il Prof. Rodighiero continuò gli studi sul meccanismo d’azione delle furocumarine, mentre le ricerche sul metabolismo del triptofano furono proseguite da me, allieva del Prof. Musajo, e collaboratori.

 

(A cura di Graziella Allegri, Prof. Emerito di Chimica Farmaceutica dell'Università di Padova)

 

Giovanni Rodighiero

Prof. Giovanni Rodighiero (1921-2011)

 

Un’altra personalità che ha lasciato una traccia indelebile nell’ambito delle scienze del Farmaco è il Prof. Giovanni Rodighiero. Nato a Vicenza nel Giugno 1921 e si laureò in Farmacia nel Novembre 1944 con il massimo dei voti e lode. Poco dopo la laurea vinse un posto di assistente presso l’Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica, Facoltà di Farmacia dell’Università di Padova. Acquisì la Libera Docenza in Chimica Farmaceutica nel 1955 e venne chiamato come Ordinario nel 1961 alla Facoltà di Farmacia dell’Università di Urbino.

Rientrò a Padova nel 1965 quale professore di Chimica Farmaceutica Applicata e, successivamente,  di Chimica Farmaceutica e Tossicologica.

Nella sede patavina divenne Direttore dell’Istituto e, successivamente, fu per lunghi anni Preside della Facoltà di Farmacia, fino al pensionamento nel 1996 quando fu nominato Professore Emerito. Ricoprì inoltre per circa un ventennio (1971-1990) il ruolo di Direttore del Centro di Studio sulla Chimica del Farmaco e dei Prodotti biologicamente attivi del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Medaglia d’oro come benemerito delle Scienze, Lettere ed Arti, ha fatto parte di varie Accademie, tra le quali l’Accademia Olimpica, l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti e l’Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti.

Fu inoltre fondatore e Editore della rivista Scientifica internazionale Il Farmaco, oltre che fondatore e Presidente della Società italiana di Fotobiologia.

Il Prof. Rodighiero iniziò le sue ricerche all’Università di Padova nel 1945, dedicandosi primariamente al settore delle furocumarine, una classe di sostanze organiche naturali prodotte da alcune varietà di piante. Questi composti sono fototossici e fotomutageni e sono utilizzati come meccanismo di difesa dai predatori. Si trovano nella buccia di molti agrumi (in particolare del bergamotto), nelle foglie del fico e nella linfa di piante invasive quali la Panace gigante.

Il Prof. Rodighiero è stato artefice di scoperte fondamentali sulle attività fotobiologiche delle furocumarine ed ebbe la lungimiranza di prefigurare un loro impiego terapeutico. Infatti, se l’attività tossica si realizza attraverso l’interazione con radiazioni elettromagnetiche, è possibile immaginare effetti mirati in particolari distretti dell’organismo, delimitati dall’irradiazione e quindi selettivi. Le furocumarine assorbite, non tossiche per se, se attivate da radiazioni nel vicino ultravioletto possono esercitare un’azione farmacologica unicamente nelle zone irradiate.

In collaborazione con l’allora Direttore dell’Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica, Prof. Musajo, le ricerche si erano inizialmente indirizzate allo studio di correlazioni tra struttura chimica della furocumarina e capacità fotosensibilizzante. Il lavoro riguardava l’isolamento e la purificazione dei principi attivi dalle piante e alla loro caratterizzazione chimico-fisica. Di qui, sfruttando le profonde conoscenze chimico-farmaceutiche del Prof. Rodighiero, scaturirono la progettazione e la sintesi chimica di nuovi principi attivi, con l’ottenimento di numerose serie di derivati non-naturali e mai sperimentati in precedenza, che, in funzione delle loro caratteristiche costitutive, mediavano la risposta fotobiologica.

            In questo periodo si colloca la fruttuosa collaborazione con i Professori Fitzpatrick e Patak del Massachusetts General Hospital di Boston e la dimostrazione di un’azione diretta delle furocumarine anche in assenza di ossigeno, che non era quindi necessario ai fini della risposta biologica, come invece si verifica per i sensibilizzatori fotodinamici.

Un fondamentale passo avanti per la comprensione del meccanismo molecolare di azione delle furocumarine è costituito dall’osservazione del Prof. Rodighiero di un danno cromosomico conseguente alla somministrazione dei farmaci e successivo irraggiamento. Del 1964 la dimostrazione che le furocumarine si legano stabilmente al DNA tramite un processo di fotocicloaddizione e, in particolare, formano legami crociati nella doppia elica. Era così svelato il processo attraverso il quale si realizzava l’evento chiave della fototossicità delle furocumarine.

            Come a volte accade, i risultati di una ricerca di base possono, tramite intuizioni illuminanti, portare ad importanti applicazioni pratiche. Infatti, partendo dal lavoro seminale del Prof. Rodighiero, un gruppo di dermatologi statunitensi ha potuto mettere a punto un procedimento chemioterapico che prevede l’uso combinato farmaco-radiazione ultravioletta (terapia PUVA) per trattare varie malattie della pelle quali la psoriasi, malattia iperproliferativa autoimmune caratterizzata dalla comparsa di scaglie secche di colore biancastro, la vitiligine, un disordine dermatologico pure di natura autoimmune dovuto all’inattivazione dei melanociti e la micosi fungoide, nota come il più frequente tra i linfomi cutanei a cellule T.

Dati i non trascurabili effetti collaterali prodotti dagli agenti a struttura lineare classicamente impiegati, il Prof. Rodighiero è stato l’antesignano dello sviluppo delle angelicine, una nuova classe di furocumarine a struttura angolare, capaci di dare fotoaddotti alla catena di acido nucleico, ma non di provocare legami crociati della doppia elica, ritenuti responsabili degli effetti indesiderati che accompagnano la terapia tradizionale.

Per l’importante ricaduta farmacologica delle sue scoperte nel 1982 al Prof. Rodighiero fu assegnato il premio “Antoine Lacassagne” dalla Lega Francese contro il Cancro.

Il carattere del Prof. Rodighiero, semplice e schivo ma affabile e disponibile, ne ha fatto uno scienziato e un maestro benvoluto da tutti.

Si spense serenamente a Padova nel Dicembre 2011.